«Urbana, rimembri ancora
quel tempo della tua vita immorale
quando avarizia splendea
negli occhi tuoi avidi e schivi
e tu, orrenda e penosa, il fomentare
di altrui rabbie salivi?
Sonavan gli agitati
Daspo, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo rutto
allor che ciamporgnali intenta
sedevi, assai flatulenta
di quel zozzo avvenir che in mente avevi.
Era il maggio alessandrino: e tu solevi
così menarti l’involtino.
Io il tifo leggiadro
talor lasciando la sudata curva,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno bordello
porgea scuregge al suon dei tuoi video,
ed alla man veloce
che percorrea “skip video” sulla faticosa tela.
Mirava il ciel cadetto
le vie inquinate e i bigotti,
e quinci il mar da lungi, e i perdenti di propria sponte.
Lingua mortal già dice
che t’ l’as catà d’mac d’le picie.
Che pensieri putridi,
che rese, che silenzi, o Urbana mia!
Quale allor ci apparia
la fede sportiva che hai oltraggiato!
Quando sovviemmi di cotanto male
un odio mi sale
maturo e determinato
e tornami a doler di mia pubica rottura.
O Rcs, O Blackstone,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che il viagra inturgidisse il vergo
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella! E non vedevi
i profitti degl’anni tuoi.
Non ti molceva il core
i colpi di testa or delle nere chiome,
or dei rigori sbagliati e di gloria privi,
né teco le ciamporgne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche senza risultati
il bilancio. Ahi come, come
importante sei.
Caro compagno della sfiga mia nuova
mie lacrimate pene!
Questo è quel mondo? Questi
gli scudetti, l’amor, le coppe, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte delle granate genti?
All’apparir del vero
tu, misera, retrocedesti: e con la mano
il freddo profitto e la pisciotta ignuda
mostravi di lontano».
Leggi QUI gli articoli di Francesca Perreca
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